RIFLESSIONI

Sono in Polonia ormai da una decina di giorni e mi sto piano piano abituando a quello che
significa essere un po’ al centro della notizia. Quantomeno essere dove accadono alcune
delle notizie principali trasmesse dai media di tutto il mondo nelle ultime due settimane. Noi,
come associazione Neos Kosmos Aps, non siamo qua a caccia di notizie. Ovviamente,
siamo qua anche per raccogliere informazioni da condividere attraverso i classici canali
media e social media. Ma il nostro intento vuole essere di testimonianza e denuncia,
cercando quanto possibile di essere a fianco delle persone e non per forza davanti, con in
mano un microfono, oppure dietro riprendendo con la camera. Siamo qua per incontrare
uomini e donne per creare nuovi legami, per capire da loro stessi, guardandoci negli occhi,
se possiamo essere di supporto e in caso come, oppure se siamo solo un ostacolo.
Sicuramente non vogliamo  dire di esserci per farci buoni di fronte a chi ci
guarda e ascolta. Qualcuno mi ha fatto i complimenti per essere partito da Atene per venire
in Polonia. Ho ringraziato, ma ho anche pensato che se dobbiamo fare complimenti e usare
aggettivi, non sono sicuramente io quello coraggioso per il viaggio che ha fatto.
In questi giorni ho soprattutto incontrato attivisti indipendenti, membri di associazioni che
lottano per la tutela dei diritti umani e cittadini che non sono d’accordo con la politica del
governo di respingere uomini, donne e bambini e di lasciarli nelle mani dei militari bielorussi
oppure in balia della foresta e delle terribili condizioni climatiche. Siamo qua per dire che
siamo al loro fianco, perché possono fare la differenza nell’aiutare le persone intrappolate al
confine, vittime di giochi politici più grandi di loro.
Visto che molti lo chiedono, lo devo ammettere, non ho incontrato nessun migrante. Per farlo
dovrei sfidare il divieto di entrare che vige nella zona di terra vicino al confine e vagare nei
boschi e nelle foreste, ma non abbiamo bisogno di stupidi “eroi”. Dovrei provare
ingenuamente a chiedere di entrare, ed essere ovviamente respinto, nei centri di detenzione
per persone il cui unico crimine è quello di aver superato una linea immaginaria per poter
fare domanda di protezione internazionale. Dovrei ignorare il cartello affisso fuori dal centro
gestito dall’associazione Fundacja Dialog: “Scusate ma non ammettiamo più giornalisti, le
persone sono stanche e devono riposare”.
Noi non siamo qui per questo, o meglio, noi non vogliamo dire di aver incontrato chi sta
soffrendo se questo non è un suo bisogno e se non può essere davvero utile a risolvere il
suo problema. Dobbiamo essere pronti a fare un passo indietro se serve. E ne vorremmo
fare altri mille. Ne faremmo volentieri a meno di venire in Polonia solo per aggiungere la
nostra voce a chi chiede che venga rispettata la vita e la dignità di persone in evidente stato
di bisogno. E troppo chiedere di poter sospendere, solo per un attimo, il dibattito su difesa
dei confini, integrazione, differenze culturali apparentemente inconciliabili e permettere a chi
può farlo di salvare delle vite umane?