LIBERTÀ O NECESSITÀ? LA RIFLESSIONE DI TRE IMMIGRATE IN SIERRA LEONE
Siamo arrivate a Makeni, una delle città più popolose della Sierra Leone, e ci siamo trovate in un ambiente caotico e frenetico, come in ogni grande città che si rispetti. É qui che si è concretizzato il nostro progetto volto ad analizzare il fenomeno della migrazione irregolare dalla Sierra Leone. Questa ricerca ci ha dato l’occasione di indagare le ragioni profonde dell’emigrazione, permettendo di confrontarci direttamente con coloro che hanno intenzione di intraprendere questo viaggio.
Camminando per la
città non passa inosservata la grande quantità di giovani che affolla le
strade. Gran parte di questi non ha né un impiego stabile né la possibilità di
lavorare e vive la sua quotidianità all’esterno della propria abitazione, nella
speranza di poter guadagnare il necessario per provvedere ai bisogni della
famiglia. Vivere “alla giornata” rende difficile elaborare piani a lungo
termine o immaginare prospettive di miglioramento della propria condizione. La
migrazione sembra, quindi, rispondere all’esigenza di proiettarsi in un futuro
diverso.
La mancanza di occupazione giovanile è resa più grave dal disinteresse delle
istituzioni che non riescono ad assicurare uno standard adeguato neanche a
settori pubblici quali l’istruzione e la sanità. Scuola primaria e secondaria,
nonostante siano a libero accesso, non garantiscono una formazione efficiente,
mentre l’università è accessibile solo a seguito del pagamento di una retta,
rimane quindi un percorso elitario. La sanità è garantita perlopiù da strutture
private e non vi è di conseguenza un sistema sanitario efficiente che possa
farsi carico della salute pubblica.
Le difficili condizioni di vita rendono complesso anche il soddisfacimento di bisogni primari quali l’alimentazione. Si mangia prevalentemente riso accompagnato da zuppe; un regime alimentare povero specchio sia della scarsa reperibilità di alimenti variegati, sia dell’arretratezza agricola del paese. Ciò è aggravato dalle continue oscillazioni del valore monetario, che hanno come effetto un costante aumento dei prezzi senza però un proporzionale incremento dei salari.
Se la soddisfazione di necessità primarie è una sfida complessa, ancora più difficile, a causa della povertà endemica, è appagare bisogni marginali come quelli legati alla sfera ricreativa. La maggior parte delle attività presenti a Makeni rientrano nella categoria dell’indispensabile seppur esistano luoghi di aggregazione come bar e locali notturni in cui potersi riunire, stare in compagnia o guardare incontri sportivi. Resta impensabile trovare altro tipo di attività ricreative e culturali accessibili a tutti. É da questa prospettiva che il sogno della migrazione assume i connotati di una visione di benessere futuro in tutte le sue sfaccettature.
Sono queste necessità ad innescare la scelta di intraprendere il viaggio migratorio, quello che in Sierra Leone è comunemente chiamato Temple Run. Quest’ultimo prende il nome dal noto videogioco di sopravvivenza in cui il personaggio è costretto a correre senza fine evitando ostacoli fatali. Tale metafora virtuale conferma la piena consapevolezza e accettazione dei rischi legati alla migrazione.
Dal nostro punto di vista la vita adulta è il momento delle scelte, noi abbiamo scelto spontaneamente di vivere un’esperienza in Sierra Leone; viceversa la vità di un giovane adulto sierraleonese non è determinata da decisioni libere ma condizionata dalle necessità.
Considerando la migrazione un fenomeno mosso da ragioni di necessità è spontaneo chiedersi se questa consapevolezza possa portarci ad empatizzare con colui che migra.
La xenofobia dilagante e l’abitudine ad innalzare muri (astratti e tangibili) hanno conferito alla parola “immigrato” una connotazione negativa, eppure noi occidentali, ospiti in un paese straniero, non veniamo negativamente percepite come immigrate ma come espatriate (expat): la percezione varia in base alla propria nazionalità!
L’esperienza che
stiamo vivendo ci porta a riflettere sulle differenti modalità in cui una
persona può essere accolta in un paese straniero. Noi ci siamo spostate
regolarmente e senza difficoltà dall’Italia alla Sierra Leone e siamo state
accolte positivamente dalla comunità locale. É comunque rilevante riportare
come questa stessa società sia anche condizionata dalla percezione delle
disparità economiche e di privilegio che intercorrono tra un italiano ed un
sierraleonese.
Gli immigrati irregolari, differentemente da noi, migrano per ragioni di
necessità, ricevendo però un trattamento completamente diverso da parte della
società occidentale. Non solo l’immigrato non viene integrato nella comunità,
ma vive lo stigma legato alla delinquenza e alla mancanza di prospettive.
Alla luce di queste considerazioni, diviene prioritario tenere a mente le
ragioni reali che spingono a lasciare il proprio paese e allenare, in questo
modo, la nostra capacità di metterci nei panni dell’altro.
Ci sembra assurdo che un giovane possa mettere a rischio la propria vita in cerca di un futuro migliore, eppure i pericoli che il viaggio porta con sé non sono sufficienti a dissuaderlo dal voler raggiungere un paese straniero nella speranza di migliorare la propria esistenza.
E tu che valore dai alla tua vita?
Maia Fava
Sara Quartararo
Stella Regno